Palestine House: convert pain into strength and beauty
- Silvia C.
- 14 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Londra è un’enorme città fatta di mondi diversi, che la rendono sempre vivace e stimolante.
In una delle vie più trafficate di Holborn, nel centro di Londra, a 5 minuti dal British Museum, c’è un palazzo di epoca vittoriana, simile a tanti altri lì intorno. Entrando nel suo portone si entra in un altro mondo, un angolo di Medio Oriente: Palestine House.

Salendo le scale a mosaico, al primo piano troviamo un caffè/ristorante tradizionale palestinese, con lucernari e pavimenti a mosaico, travi in legno e cucina a vista. Lì c’è Osama Qashoo, palestinese di Nablus, l’uomo che ha ideato e dato alla luce, con pazienza e determinazione, questo luogo unico: cinque piani, ognuno dei quali è legato a una città della Palestina.
Osama è un “refugee”, fuggito dalla Palestina nel 2003, dove collaborava come fotografo freelance con varie testate (tra cui Reuters) e aveva fondato l’International Solidarity Movement, gruppo dedicato alla resistenza non violenta, che si è opposto alla costruzione del muro dell’apartheid. Approdato nel Regno Unito, ha studiato per diventare regista, specializzato in documentari.
Il suo documentario più noto è forse My Olive Tree, che contribuì a convincere il Trade Union Congress a portare in Europa l’olio d’oliva palestinese, bypassando Israele. Un altro dei suoi documentari, A Palestinian Journey, vinse nel 2006 l’Al Jazeera New Horizon Award.

Nel 2007 ha co-fondato il Free Gaza Movement, contro l’assedio di Gaza, ed è stato uno degli organizzatori della Freedom Flotilla nel 2010, una missione che aveva lo scopo di portare aiuti via mare. Durante il viaggio, una delle navi, la Mavi Marmara, è stata attaccata: dieci attivisti sono morti e lui, insieme ad altri, è stato arrestato, torturato e detenuto.
Tornato nel Regno Unito, ha continuato a occuparsi della sua terra e, dopo il Covid, ha cominciato a lavorare al progetto di Palestine House: un centro culturale, un enorme spazio che è un assaggio di tutto ciò che è palestinese, ma anche aperto a chiunque, da qualunque parte del mondo venga. Un luogo sicuro per le persone oppresse, che qui possono svolgere le loro attività. Un ambiente rilassato, senza programmi né confini.
Qui si tengono eventi culturali giornalieri, workshop, mostre; presto ci saranno anche una sala di registrazione, una sala di montaggio, strumenti per la stampa, spazio di co-working, Wi-Fi ad alta velocità e una residenza per artisti.
Osama è un fiume in piena. Facciamo il giro dell’edificio, salendo le scale coi mosaici e incontrando, a ogni piano, una diversa città della Palestina: Gerico, Nablus, Gaza, al-Quds. Ognuna, caratterizzata perfino dal materiale originale della propria zona, racconta la sua storia.
Raccontare la Palestina a 360 gradi è proprio lo scopo di Osama, che è ideatore, costruttore e imprenditore di questo spazio incredibile, realizzato attraverso un crowdfunding.“We don’t need aid, we need trade”, dice con forza.
Ha perfino creato la Gaza Cola, un soft drink in lattina decorata con la bandiera palestinese, il disegno della kefiah e la scritta in arabo, lanciata a Londra all’inizio dell’anno. I profitti andranno interamente alla ricostruzione del Karama Hospital, a Gaza. La produzione di Gaza Cola vuole anche essere una risposta alle compagnie che producono bevande simili e investono nel commercio di armi.

"We don’t need aid, we need trade."
Oltre a supportare le comunità palestinesi a Londra, il centro supporterà anche quelle sul campo, in Palestina, tramite partnership di beneficenza.
La ONG tedesca Clean Shelter è la prima di queste partnership e sta aiutando sia a finanziare che a sensibilizzare sui progetti idrici e igienici in Palestina.
Osama ci tiene a raccontare tutto con passione, determinazione, lucidità e un ottimo senso dell’umorismo. Ogni progetto, ogni angolo dimostra quanto questo piccolo pezzo di mondo sia una cosa viva, trasparente e utile. Su uno dei piani c’è anche una stanza in stile arabo che ospiterà artisti. All’ultimo piano, un balcone: sul muro è dipinta una grande bandiera della Palestina, davanti un albero d’ulivo. Appesa al centro dell’atrio, una grossa chiave di legno, simbolo tradizionale dei palestinesi esiliati.
Aperta da pochi mesi, Palestine House è ancora in parte work in progress, ma il progetto va avanti con l’impegno e l’entusiasmo di tante persone.
Il programma degli eventi è ricco: musica, mostre, incontri, workshop, un bazar, il brunch della domenica. È possibile tesserarsi, accedendo a spazi di co-working, eventi e altri servizi.
Palestine House è un luogo unico, vivo ed emozionante.
Uscendo nella sera umida e illuminata di Londra ho avuto la stessa sensazione di quando sono entrata: essere in un altro mondo, senza passare dall’aeroporto.
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